Elena Pariotti
Introduzione
pp. 7-11
DOI: dx.doi.org/10.7382/95808
Il dibattito intorno alla semantica e alle funzioni assegnabili al concetto di vulnerabilità da qualche decennio risulta sviluppato nell’ambito filosofico e segnatamente filosofico-politico. Risulta invece più recente con riferimento alla sfera giuridica. Con questo fascicolo si prosegue la riflessione intorno alla nozione di vulnerabilità nella sfera giuridica, avviata con il fascicolo n. 2 del 2018, dedicato all’analisi degli usi della vulnerabilità nel ragionamento giuridico. Quali sono gli usi emergenti della nozione di vulnerabilità riscontrabili in alcuni ambiti giuridici? Qual è lo statuto da assegnare alla vulnerabilità: si tratta di un principio o di una categoria ermeneutica? Qual è il rapporto tra vulnerabilità, da un lato, ed (altri) principi giuridici, segnatamente i principi di autonomia, dignità, eguaglianza? Quali le implicazioni per istituti e concetti giuridici derivanti dal riconoscimento di una pregnanza giuridica della condizione di vulnerabilità? Quali gradi e condizioni di compatibilità sono ravvisabili tra il riconoscimento di rilevanza normativa alla nozione di vulnerabilità e il linguaggio dei diritti? Questi alcuni degli interrogativi che il presente fascicolo intende indagare. Saranno a tal fine considerati semantica, statuto e funzioni della vulnerabilità entro ambiti giuridici specifici – il diritto costituzionale, il diritto civile, il diritto internazionale dei diritti umani – nel suo rapporto con categorie – soggetto di diritto, capacità giuridica – e con principi giuridici, quali i principi di autonomia, eguaglianza, solidarietà, dignità. Viene inoltre indagato l’apporto che alcuni approcci teorici possono fornire al chiarimento dello statuto della vulnerabilità nel diritto e alla comprensione delle implicazioni per la normatività giuridica derivanti dal riferimento ad essa.
Piero Marino
The Fragility of Regulatory Action
pp. 13-24
DOI: dx.doi.org/10.7382/95809
Filippo Pizzolato
Constitutional Banks to the Delimitation of Vulnerability
pp. 25-38
DOI: dx.doi.org/10.7382/95810
Arianna Fusaro
The Vulnerable Person’s Legal Act and the Language of Invalidity
pp. 39-62
DOI: dx.doi.org/10.7382/95811
Francesca Ippolito
Vulnerability as an Emergent Principle in International Law of Human Rights?
pp. 63-93
DOI: dx.doi.org/10.7382/95812
Mariavittoria Catanzariti
The Faces of Vulnerability: The Example of the Interamerican Court of Human Rights
pp. 95-113
DOI: dx.doi.org/10.7382/95813
Giusy Conza
The Vulnerability Examined by Legal Argumentations. The Cappato Case
pp. 115-131
DOI: dx.doi.org/10.7382/95814
Daniele Ruggiu
Vulnerable Subject, Technological Innovation, and Ethics of Care
pp. 133-154
DOI: dx.doi.org/10.7382/95815
Elena Pariotti
Ontological Vulnerability and the Language of Rights
pp. 155-170
DOI: dx.doi.org/10.7382/95816
Recensione
Francesco Viola
U. Breccia, Discorsi sul diritto. Appunti per un corso di “teoria generale del diritto”, Pacini Giuridica, Pisa 2019
pp. 171-179
DOI: dx.doi.org/10.7382/95817
Il libro si presenta nel titolo in veste dimessa. L’autodefinizione di “discorsi sul diritto” è volutamente generica e quella più significativa di “teoria generale del diritto” è ridimensionata dalla più modesta qualifica di “appunti”. Ma bisogna guardare alla sostanza. Certamente non si tratta della teoria generale del diritto nel senso tradizionale, cioè nel senso di una sistematica dei concetti fondamentali dell’ordinamento giuridico (per intenderci nel senso della nota opera di Carnelutti), e neppure di quella che oggi chiamiamo “teoria del diritto”, cioè nel senso dei concetti formali comuni a tutti gli ordinamenti giuridici (per intenderci, nel senso kelseniano o hartiano). L’esclusione dell’una e dell’altra configurazione scientifica non è una scelta libera dell’autore, ma deriva dalla constatazione della loro inadeguatezza di fronte alla realtà del diritto contemporaneo. Tuttavia continuare a riferirsi ad una teoria generale del diritto esprime chiaramente l’intento di gettare uno sguardo complessivo e in qualche modo unitario sull’esperienza giuridica del nostro tempo, anche se nell’ottica civilistica.
Questa teoria del diritto non è conclusiva. Nonostante le apparenze, questa non è affatto per me una connotazione negativa. Non c’è una sistematica dell’oggetto che pretenda di ingabbiarlo in categorie concettuali ferree e stabili. Come potrebbe mai avere successo un’operazione del genere nei confronti del diritto contemporaneo, ricco di contraddizioni interne, privo di una netta linea di demarcazione dal non-diritto, con uno sviluppo stratificato di tipo alluvionale in cui il passato non è cancellato ma non si armonizza con il presente, e in cui le fonti sono prive di una stabile gerarchia? Per questo giustamente si privilegia l’immagine della rete a quella della piramide e si rifiutano le semplicistiche dicotomie del passato (come quella tra diritto pubblico e diritto privato), preferendo le partizioni interdisciplinari.questi “appunti” prefigurano una teoria generale del diritto, che sia al contempo inclusiva, non conclusiva, dubitativa, descrittiva, argomentativa e sempre incompiuta, cioè con alla fine delle pagine bianche.